V.F. Polcaro al XII Congresso SIA, Albano (RM) 2012

Con la dipartita di Vito Francesco Polcaro (Lauria 29/6/1945 – Roma 11/2/2018) perdiamo una figura rilevante di scienziato, intellettuale dalla vasta cultura, militante politico e pacifista

 

... Aber es gibt Menschen, die kämpfen ihr Leben lang:
Das sind die Unersetzlichen. (Bertold Brecht)

 

Una figura così ricca e poliedrica è molto rara a trovarsi nel panorama attuale di decadenza della società italiana ed occidentale in genere. Qualcuno così si poteva incontrare fino agli anni Ottanta, quando ancora persisteva una passione forte per le conquiste culturali, scientifiche, sociali e di progresso che poteva tradursi in quel fermento di incontri, di pubblicazioni, di associazioni, di interessi accomunanti, di attività svolte a titolo gratuito e senza pretendere gratificazioni in cambio che non fossero la convinzione del giusto, o il piacere intrinseco nel fare.

 

L'epoca in cui tocca vivere

Il primo mio incontro con Francesco, e ricordo di lui, risale al 1990: Roma, un'aula del Dipartimento di Filosofia dell'Università "La Sapienza" a Villa Mirafiori, un'assemblea-dibattito da noi organizzata nel gorgo del movimento studentesco della Pantera, mi pare fosse intitolata più o meno: Per un controllo sociale della scienza. Non chiedevamo altro, in realtà, che occhiali per poter guardare anche al di là di quella prassi meramente tecnica e formale che già si andava imponendo a livello accademico e di Ricerca. Chiedevamo di essere istruiti a comprendere la scienza ed il suo metodo nelle fondamenta, cioè nel contesto sociale, storico ed economico in cui si sviluppava. Non so più chi invitò Francesco, ma... chi meglio di lui? Fu presentato come ricercatore astronomo del CNR e responsabile, se ben ricordo, del settore Ricerca per Democrazia Proletaria.
Erano gli anni del dopo-Chernobyl, erano vive le polemiche sull'energia nucleare e anche lo spettro della guerra atomica – che oggi si riaffaccia – non si era dissolto: soprattutto per noi, studenti di Fisica abbastanza inquieti, che ci dividevamo tra una proiezione sul Manhattan Project e un manifesto vergato a pennarello con citazioni da Debord. Già in quel primo incontro capii molto di Francesco, e molto appresi dal suo breve intervento, come dagli interventi di altri (anche per contrasto). Ricordo ad esempio un docente che intervenne dal pubblico contestando a non-so-più-chi (non certo a Francesco) le "utopie agro-silvo-pastorali" di cui si nutriva la nuova moda ideologica della decrescita, e l'irrazionalismo risorgente.

Si annunciava così, allora, l'epoca in cui siamo sprofondati oramai fino ai capelli, che dal punto di vista della storia del pensiero può essere a mio avviso contraddistinta come l'epoca dell'odio per la scienza. Da un lato, la scienza è osteggiata di fatto dai tecnocrati e spesso persino da chi è sulla carta scienziato, perché non ne accettano il metodo critico e la provvisorietà dei risultati. Infatti la scienza (galileiana) è critica, oppure non è; in essa non si danno risultati eterni; ma pure nella sua validità contingente, la scienza gode di validità piena, cioè di tutta la validità che ci serve. Dall'altro lato, la scienza è odiata da chi coltiva, per l'appunto, le utopie agro-silvo-pastorali di cui sopra, dai disadattati, dai truffatori degli oroscopi e delle previsioni di borsa, da chi va a Medjugorije, da chi ritiene che tra episteme e doxa non ci sia differenza. Ciò che entrambe le "scuole" odiano più di tutto nella scienza è il suo carattere programmaticamente, metodologicamente democratico, nonché la necessità dell'esperimento, cioè l'obbligo continuo della prova dei fatti.

Di lì a poco le questioni da mettere a tema si sarebbero precisate e complicate al contempo. Per prima era stata proprio la Pantera a denunciare privatizzazione e precarizzazione del lavoro scientifico e intellettuale. E Francesco lo incontrai di nuovo negli anni della mia Tesi di Laurea, attorno al 1995 proprio dentro al CNR, per la precisione all'Istituto di Astrofisica Spaziale (IASF/CNR), immerso nel pini di Frascati, dove in un ufficetto condiviso con un collega si occupava intensivamente, tra l'altro, esattamente di politica della Ricerca, anche con l'utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici quali internet e posta elettronica. (1) Ricordo che una delle cose che mi disse allora fu che lui si rifiutava di timbrare il cartellino, perché il suo lavoro non cominciava e non finiva nel tempo trascorso in ufficio. Era un modo per contestare la galoppante aziendalizzazione del lavoro scientifico. Davvero: uno come lui che lavorava 24 ore su 24, in ufficio come a casa, nelle assemblee o in giro per il mondo per congressi scientifici... timbrare il cartellino? Per dimostrare cosa? A chi? Qualche volta, tanti anni dopo, pur non frequentandolo assiduamente, mi colse il timore che a Francesco prima o poi sarebbe scoppiato il cuore, visti i tantissimi fronti in cui profondeva il suo impegno generoso, sempre al servizio degli altri.

 

Ingegnere e Astronomo

Tre volte laureato – in Ingegneria Meccanica nel 1968, in Ingegneria Aerospaziale nel 1970 ("a quell’epoca, era la sola cosa assimilabile ad un dottorato di ricerca", scriverà (2) ) ed in Matematica con indirizzo Meccanico-Relativistico nel 1974, sempre presso l’Università di Roma “La Sapienza” –, Francesco era ricercatore CNR dal 1971 e lavorava all'IASF dal 1976. Attraverso la banca dati della NASA (3) risaliamo a 200 articoli specialistici che lo hanno visto come autore, da solo o con altri: dal primo risalente al 1975 fino agli ultimi due articoli del 2017. Non approfondisco la statistica delle sue pubblicazioni, tantomeno con la derivazione di impact factor e h-index che, quali indicatori della qualità della produzione di uno scienziato, Francesco meglio di me avrebbe sottoposto a critica; basti sapere che risultano 67 suoi articoli da primo autore e ce n'è un buon numero su ciascuna delle più importanti riviste specializzate di Astronomia e Astrofisica (APJ, A&A, MNRAS).
La sua produzione scientifica ha trattato problematiche tecnologiche, osservative e di modellizzazione: le prime si riscontrano spec. nei primissimi lavori, quelli degli anni Settanta riguardanti l'osservazione del cielo nei raggi X attraverso palloni stratosferici, in linea con la sua formazione da ingegnere aerospaziale; le seconde ineriscono al dominio dell'ottico più ancora che a quello dei raggi X o ad altre bande osservative che pure non gli erano estranee; le terze riguardano modelli di emissione, e variabilità, galattica ed extragalattica...

Nel 2003 sintetizzava all'estremo le sue molteplici attività da ricercatore scrivendo (2): "Mi occupo di stelle di grandissima massa (da quelle 25 volte più grandi del Sole in su), usando qualsiasi tecnologia possa essere disponibile, dai satelliti per astronomia gamma ai documenti monastici medievali che descrivono le esplosioni delle supernovae del passato." Fu proprio su quest'ultimo affascinante terreno che iniziammo una collaborazione scientifica attorno al 2005. Ero assegnista di ricerca in Francia quando gli espressi il mio desiderio di essere in qualche modo coinvolto in una di quelle splendide attività di carattere interdisciplinare, in cui lui primeggiava e che stupivano la platea di ogni congresso di Astrofisica al quale capitava di ritrovarci. La mia iniziativa ebbe come conseguenza che di lì a poco mia madre sarebbe stata da me scarrozzata in giro tra Occitania e Provenza, per verificare de visu se in certi altorilievi sulle facciate delle cattedrali alto-medievali davvero era stata raffigurata qualche stella nova; con scarsi risultati però, data la crudeltà del trascorrere dei secoli.
Negli anni successivi presentammo diversi lavori su questo tema delle osservazioni storiche di supernovae, e tra di essi l'ultimo (Martocchia & Polcaro 2010) (4) mi sembra il più significativo dal punto di vista scientifico.
Coinvolgendomi ulteriormente nei suoi progetti, pur in una condizione di sostanziale assenza di fondi che necessariamente mi spingeva a inventarmi una diversa attività professionale per guadagnarmi il pane, Francesco mi consentì comunque, con una formale associatura all'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), di mantenere per un po' l'interazione con quell'ambiente di ricercatori dal quale provenivo. Di più: solo con Francesco ebbi l'occasione, unica nella mia vita, di trascorrere una notte di lavoro in un osservatorio astronomico. Io impostavo un nostro articolo, lui dava indicazioni per puntare il telescopio sulle sue stelle variabili, il tecnico – Bernabei – eseguiva, non senza perdersi con Francesco in discussioni appassionate sulla sindacalizzazione dei ricercatori. Anche il nostro collega Gianluca Israel lo ritrae nello stesso luogo: "l'immagine che voglio conservare di Francesco è quella di lui sul ballatoio della cupola del 1.5 m di Loiano, con in bocca la sua inseparabile pipa, che raccontava con ironia le molte vicende della sua vita che erano strettamente collegate con quelle dell’Italia, e l’incondizionato affetto per le sue terre d’origine." (5)

La collaborazione tra Francesco e il sottoscritto, per uno scherzo del destino, culminava nel momento per me più difficile dal punto di vista professionale-lavorativo, come egli comprese mostrando empatia e in qualche modo facendosene carico con suggerimenti utili e atti concreti, unico nel novero dei colleghi senior poiché già sensibilizzato alle questioni della precarizzazione dei giovani ricercatori e del depauperamento dei centri di ricerca. Una coscienza già piena, la sua, potenziata dagli studi della moglie Carlotta Brandi, ricercatrice all'IRPPS-CRN proprio sui temi dell'overeducation e fuga dei cervelli (6); una coscienza che Francesco ha sintetizzato molto recentemente in uno dei suoi ultimi e più accorati testi "politici", intitolato L’angoscia del precario del XXI secolo, che raccomando. (7)

D'altronde, anche a Francesco la crisi della Ricerca procurava un disagio diretto, personale. Il 20 giugno del 2003 egli era stato "trasferito all’INAF dalla sig.ra Brichetto in Moratti, senza chiedermi nulla a riguardo" (2) e pochi anni dopo sarebbe stato sbattuto in pensione in una maniera che lo amareggiò abbastanza. Pur proveniendo da due generazioni diverse, ed in condizioni molto diverse essendoci formati, giungemmo a una comune presa d'atto di una deriva oramai molto avanzata. Due punti di visuale differenti, i nostri, che poterono facilmente intendersi su ciò che stava succedendo nel comparto della conoscenza. Così, insieme, su questo pubblicammo un articolo sulla rivista L'Ernesto (8) nel quale, mi sembra, per primi – ma già tardivamente, e ancora oggi sostanzialmente inascoltati – esponemmo il carattere generale e internazionale dell'attacco al lavoro intellettuale, provando a divincolarci dalla dimensione provinciale, esterofila e supponente, che tuttora limita la saggistica italiana sulla materia. (9)

 

Francesco su quel ballatoio... (immagine scattata con cellulare obsoleto dal sottoscritto, 2007; anche l'immagine introduttiva di questo articolo è stata scattata nello stesso Osservatorio in quesi giorni)Francesco su quel ballatoio... (21)

 

Storico e archeologo

L'impegno di Francesco nelle questioni di politica della Ricerca era la naturale conseguenza di una concezione organica dello stare al mondo: non solo dunque sindacalizzazione sul posto di lavoro, o mero atto politico, ma modo di vivere, pienamente, ogni personale attività senza mai trascurare il contesto sociale ed economico reale. Francesco incarnava con la sua vita stessa l'imperativo gramsciano dell'intellettuale organico, assimilato certamente già nella prima gioventù. Persino nel merito dei suoi studi scientifici, naturalmente e logicamente Francesco faceva politica – in senso alto – quando riconosceva e contestualizzava ogni tema con la chiave di lettura materialista-storica. Perciò, ogni acquisizione della conoscenza umana era per Francesco da intendersi nel processo storico-sociale e mai al di fuori di esso. Con questa sana abitudine intellettuale, che dovrebbe essere il fondamento dell'attività di ognuno che si dica marxista, debordava senza difficoltà dall'Astrofisica occupandosi anche professionalmente di Astronomia culturale, Archeoastronomia, Storia dell'Astronomia, nonché di Archeologia e di Storia tout court. Conoscendo la mie identiche convinzioni, mostrando fiducia che avrei contribuito a impostare la ricerca sui corretti binari del materialismo storico e dialettico, nel 2016 insistette con me in maniera quasi brusca perché fossi coinvolto addirittura in un convegno sul tema, per me davvero inesplorato, della storia della stregoneria e della sua persecuzione. (10) La proposta mi fu subito argomentata con la necessità di basarsi "su quanto scrive Geymonat nel volume sul 500 e 600 della Storia del pensiero scientifico e filosofico" e così fu immediatamente ovvia, e praticabile per me, l'ipotesi di lavoro.

Proprio l'esempio insuperato di Ludovico Geymonat, in tema di visione organica della conoscenza e della scienza, è stato il faro della collaborazione tra Francesco e il sottoscritto. Un faro che ci ha illuminato il percorso sul quale, tra l'altro, abbiamo scritto una sintetica (forse sin troppo densa) Storia sociale dell'Astronomia (Città del Sole, 2012): (11)

La storiografia scientifica prevalente muove dalle sole dinamiche interne al pensiero scientifico, con un procedimento idealistico che trascura gli elementi di natura culturale, storica, economica e sociale. Una storia sociale della scienza spiega l'evoluzione del pensiero scientifico in riferimento agli eventi storici generali, descrive il contesto sociale, anche se non si configura ancora come una storia popolare della scienza, nella quale, cioè, la scienza è interpretata come produzione collettiva del sapere scientifico. Una riflessione sulle dinamiche strutturali che muovono l'evoluzione anche delle scienze appare urgente oggi, nella fase di profonda crisi in cui operano i lavoratori della ricerca e che, contribuendo ad un approfondimento di analisi critica, metta in luce il nesso inscindibile tra crisi econonomica e crisi epistemologica.

Così la Quarta di copertina, nella sintesi perfetta di Sergio Manes, il nostro editore, altro intellettuale marxista di grande spessore, che ci avrebbe purtroppo lasciato prima ancora che Francesco si ammalasse, nel 2017.
La prima parte del volumetto è stata curata a quattro mani; essa muove dalla Roma imperiale fino alla nascita dell’Astronomia Moderna in Occidente, ed evidenzia l'interconnessione con la cultura islamica, che ha dato un contributo decisivo al patrimonio di conoscenze astronomiche dell'umanità ed allo stesso risveglio scientifico in Europa avvenuto attorno al XII secolo. La seconda parte, prevalentemente frutto dell'ingegno di Francesco che a questi temi aveva già dedicato numerosi studi, è invece interamente dedicata all'Astronomia nell'Impero cinese. Con Introduzione, Conclusione ed apparati mi cimentai invece prevalentemente io.

Nel frattempo Francesco aveva intensificato la sua dedizione ai temi di Astronomia culturale, animando anche i convegni della Società Europea dei cultori della materia (SEAC) ed altri consessi affini; e più ancora lavorava per la Società Italiana di Archeoastronomia (SIA) contribuendo in maniera determinante alla attività ed al consolidamento associativo, oltre che a indagini interessantissime riguardanti i criteri astronomici della edificazione di strutture architettoniche dell'antichità in area mediterranea o la disposizione di grandi megaliti delle culture paleolitiche e neolitiche dell'Italia meridionale. Con altri colleghi scoprirono l'allineamento astronomico esatto e intenzionale di sequenze di buche presenti nel terreno in certe aree della Puglia, (12) una scoperta incredibile accolta però finora, mi sembra, nell'indifferenza dell'opinione pubblica.

Tali attività archeoastronomiche e di Astronomia culturale, essendo intrinsecamente interdisciplinari si prestavano particolarmente bene a diventare materia di divulgazione, ad esempio in iniziative di astrofili, o in eventi organizzati nei Comuni di quel Sud che Francesco, lucano e meridionalista impenitente, adorava.

L'Archeologia era per lui ambito in cui lavorare assieme anche ad Andrea Polcaro, suo figlio, formatosi e avviato professionalmente su quella strada come allievo di Paolo Matthiae, il principale archeologo italiano vivente, lo scopritore delle tavolette di Ebla in Siria. Ebbi occasione di parlare con Andrea ai margini di un convegno della SIA qualche anno fa e di commentare con lui la brusca interruzione del lavoro archeologico in quel paese di antichissima e straordinaria civiltà, appena aggredito dal fondamentalismo islamico oggettivamente alleato dell'Occidente contro il "cattivo" di turno. Dal 2009 nella Siria martoriata erano in corso le devastazioni di tesori come le rovine di Palmira, che io stesso avevo visitato con stupore stendhaliano nel 2008. Anni dopo avremmo assistito addirittura al linciaggio morale contro il professor Matthiae, accusato di essere "collaborazionista di Assad" per il solo fatto di rimanere in comunicazione con i suoi eroici colleghi del ministero delle Antichità siriane. (13) La condizione di guerra nel Medio Oriente delle "primavere arabe" poneva un'ipoteca ulteriore sulle chances di collocazione professionale per un giovane brillante archeologo come Andrea, in un quadro di tagli e precarizzazione ancora più grave, se possibile, di quello che Francesco ed io avevamo riscontrato nei settori delle scienze "dure".

 

Francesco a Francesco a "Petre de la Mola" (Monte Croccia, Lucania), 2013 (fonte)

 

Cittadino del mondo

A questo punto avrei dovuto scrivere dei viaggi in Medio Oriente di Francesco, ma non ne so molto. A dire il vero, per quanto ampio sia il ritratto che di lui sto facendo in questa sede, esso è forzatamente molto incompleto e selettivo, date le infinite esperienze vissute da Francesco.
Posso solo accennare a una cosa, e cioè al fatto che con l'Africa lui aveva un legame antico, addirittura familiare, credo di un paio di generazioni addietro. Mi raccontò infatti una volta che in Somalia i suoi avevano delle attività economiche, che dovettero abbandonare a seguito della sconfitta del colonialismo italiano e delle guerre ripetute; ma era, quella somala, una società che lui conosceva benissimo.
Forse anche per questo Vito Francesco Polcaro era naturalmente cosmopolita. Cosmopolita per apertura culturale e mentale, ma internazionalista per credo politico e convinzione antimilitarista, come ogni paladino di un mondo più giusto e migliore, quale lui era. Attivo nel movimento pacifista dal 1962, Francesco era anche membro dell’Unione degli Scienziati per il Disarmo (USPID). Anche sul fronte della lotta contro la guerra ci toccò incontrarci spesso, nostro malgrado.

Molto prima della Siria era stata ad esempio la volta della Jugoslavia, con i bombardamenti che la NATO aveva iniziato il 24 marzo del 1999 per strappare a quel paese la provincia del Kosovo, portando a termine lo smembramento di ciò che della Federazione era rimasto. Francesco sapeva che per ragioni anche personali io ero molto coinvolto e colpito dagli eventi. Ricordo in particolare, come fosse adesso, quando ci incontrammo nel parco della Fondazione "Alessandro Volta" – una meravigliosa villa settecentesca in riva al lago di Como – il 12 o 13 maggio del 1999 in occasione del primo Convegno Nazionale di Astrofisica degli Oggetti Compatti (CNOC). – Ciao Andrea come va? – Come vuoi che vada... vedi che cosa sta succedendo... – Si, hai ragione, lo capisco, mi dice abbassando la testa e passando a caricarsi la pipa. Dopo un paio d'ore, a sorpresa Francesco a conclusione del suo talk proietta due diapositive: "Mi comprenderete se vado apparentemente fuori tema, ma nemmeno qui possiamo dimenticare che sono in corso i bombardamenti della NATO e che tutti noi scienziati dobbiamo essere in prima fila a ripudiare la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali..."

Anche in quella occasione seppe dare un cristallino esempio, anzi un contro-esempio della irresponsabilità della comunità scientifica e accademica in quel frangente in cui il nostro paese, con altri, si macchiava di una infamia assoluta; le cui conseguenze, come in una nemesi storica ben meritata, ci sono ricadute tutte addosso fino a oggi e continueranno – tra terrorismo islamista, cessioni di sovranità, tendenze centrifughe di stampo micro-identitario, attentati alla Carta costituzionale. Un frangente, quello, in cui la trahison des clercs si manifestava tanto apertamente da rimanerne, noi, scioccati. Per me non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo episodio della interazione con Francesco nella vicenda jugoslava e nella lotta contro le guerre, ma devo limitarmi qui a ricordare la nostra comune partecipazione al Comitato scienziate/i contro la guerra, per il quale lui mise soprattutto a disposizione, generosamente come sempre, tutte le sue competenze in tema di sistemi d'armamento. (14) Così come, per le stesse sue competenze, aveva anche fatto parte del Gruppo di Lavoro dei periti di parte civile per il processo per la strage del DC9 di Ustica, dal 1990 alla conclusione del processo di primo grado. (2)

In merito va d'altronde precisato che Francesco – ed è un'altra tra le tantissime sfaccettature della sua personalità – non era un cultore della nonviolenza, mantra moralista allora di moda ma che giudicavamo strategia dannosa per gli aggrediti all'atto della difesa contro gli aggressori; lui era invece un antimilitarista come nella migliore tradizione della sinistra del dopoguerra. Mi sorprese una ennesima volta quando mi raccontò che oltre a conoscere i sistemi d'arma, lui stesso sapeva usare la pistola – addirittura andava ad allenarsi al tiro a segno quando ne aveva la possibilità! Più che una passione sportiva, si trattava di una necessità che era insorta non so come e non so quando, e che era stata particolarmente forte nei primi anni Settanta, perché doveva – mi raccontò – andare su incarico del PCI in alcune borgate della Capitale con la pistola in tasca per eventuali esigenze di autodifesa, per conciliare liti su abitazioni assegnate o occupate da famiglie povere, o forse tra baraccati – non so bene.
D'altronde, Francesco aveva militato in un Partito Comunista sin dall'età della ragione, senza interruzioni. Ricordiamo bene come, responsabile Università e Ricerca per il PdCI, portava al bavero la spilletta del partito anche nei convegni internazionali di Astrofisica.

Per molti non basterà tutta l'immaginazione del mondo per figurarsi un astronomo comunista che si aggira tra i borgatari di Torpignattara con la pistola in tasca. Solo la sfera politica può fornire una chiave di sintesi per una personalità così multiforme, restituendola al suo contesto, all'epoca cioè in cui esisteva l'Unione Sovietica.

Anche dell'URSS dobbiamo parlare, parlando di lui, perché ebbe occasione di frequentare pure quell'immenso paese, come tantissimi altri, e di stabilirvi collaborazioni scientifiche importanti. L'ultima volta che lo incontrai (proprio al convegno sulla stregoneria) Francesco mi chiese notizie dell'Uzbekistan, e qualche impressione su Samarcanda, dove io ero stato nel settembre 2016: "che ne è della comunità russofona laggiù? Ho avuto l'impressione che siano vittime di discriminazione nazionalitaria anche loro..." Ritrovo adesso i riferimenti di un suo lavoro scientifico, il cui titolo ci parla di Francesco meglio di quanto possa riuscirvi io: Ibernazione della novae: possibili contributi da una ricerca interdisciplinare sull'osservatorio di Ulug-Beg a Samarcanda. (15)
Mi raccontò che lui aveva collaborato con astronomi di Tashkent, "grandi scienziati". Immagino che qualcuno di loro sia tra i co-autori (Miroshnichenko? Zharikov? Kusakin? Naurzbayeva? Alimgazinova? Manapbayeva? Maryeva? Klochkova? Chentsov?...) degli ultimissimi due articoli di Astrofisica di Polcaro, risalenti al 2017, rintracciabili su ADS.
Non so nemmeno se fu nel corso di qualcuno dei suoi viaggi in URSS che Francesco conobbe Bruno Pontecorvo. So che lo incontrò sicuramente nel 1992, in occasione del viaggio in Italia di questo grandissimo fisico, teorico delle oscillazioni dei neutrini, che in URSS era espatriato per scelta politica nel 1950 e che volle rientrare in visita nella sua terra natìa solamente a seguito del crollo di quel grande paese e del suo sistema. Francesco fu profondamente colpito dalla figura di Pontecorvo e dalla sua morte nel 1993, al punto che volle che gli fosse intitolata la sezione universitaria del PRC, che aveva sede in Via dei Latini nel popolare quartiere di San Lorenzo. Anche lì avevamo avuto occasione di incontrarci, per un certo lasso di tempo: io desideroso di plasmare una mia concezione del mondo, lui con una concezione del mondo già molto precisa, che però la mia generazione, intellettualmente indisciplinata, anzi sbandata, metteva duramente alla prova. Un giorno, tanti anni dopo, mi scrisse: "Stanotte ho avuto un incubo: ho sognato una di quelle riunioni inconcludenti del circolo universitario..."

 

Antifascista

Proprio lì, su Via dei Latini, fuori dalla saracinesca del circolo, a latere del congresso del PRC, nel 1995 Francesco mi aveva presentato Bianca Bracci Torsi, partigiana. Altra persona preziosa e indimenticabile.
Le amarezze si sarebbero moltiplicate, in politica come sul lavoro, per entrambi. Dal PRC si sarebbe scisso il PdCI, e poi da questo quasi più niente. Una volta Francesco mi disse: "Sai cosa, io sono così stufo di sentire le sciocchezze che dicono le persone, che sempre più spesso mi viene di non contraddirle nemmeno, di ribattere solo 'Si si, hai ragione, vedila come ti pare' e chiuderla lì"; e non si riferiva solamente alla politica.
C'era però un ulteriore terreno di impegno, sul quale simili ipotetiche passività erano impossibili anche solo da immaginare, che ci avrebbe coinvolto entrambi: quello dell'antifascismo.
Anche in questo c'erano per Francesco delle radici nella storia familiare. Nella stessa occasione in cui mi aveva raccontato della Somalia, mi aveva accennato anche al fatto che il padre, o forse il nonno (l'ho dimenticato), si era reso protagonista di un atto di sabotaggio ai danni della colonna tedesca in movimento verso Nord nei pressi del suo paese d'origine, dalle parti di Lagonegro, provocando il crollo di un ponte sulla strada nazionale. (Io quelle zone le conoscevo poco; l'unica volta che ebbi occasione di recarmici con Francesco eravamo nella sua casa al mare nel centro di Sapri.)

Fatto sta che un bel giorno lui avrebbe sostituito, sulla giacca, la sua inseparabile spilletta del partito con un'altra, quella dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) per la quale diventava presidente del Comitato provinciale di Roma.

La spilletta, la pipa, il cappello – una iconografia privata che rimane scolpita nelle nostre memorie, ma diventa pubblica in senso pieno quando Francesco assume questa carica, "che ha svolto nel modo migliore, con disciplina e onore', per dirla con le parole della Costituzione", come scrive Gianfranco Pagliarulo (16), direttore responsabile di Patria Indipendente, il periodico dell'ANPI. "Eppure io immaginavo che gli andasse stretta, anzi, larga. Larga per uno come lui, abituato al lavoro di base, alla coniugazione quotidiana della ragione col sentimento, com’è proprio dell’attivista politico e sociale, lui, così lontano da qualsiasi idea di ambizione."

Pagliarulo ha colto nel segno. La modestia di Francesco era assoluta, altrettanto la sua dedizione alle cose in cui credeva. Non si ritiene di dover essere ambiziosi quando si crede che la società sia tenuta a riconoscere gli sforzi ed i risultati raggiunti dal singolo con gratificazioni elementari, che si pensa dovrebbero essere automatiche, quale l'avanzamento di carriera. Purtroppo da tempo non funzionava più così, nemmeno negli Enti pubblici di Ricerca. Non solo: di fronte alla mancanza di fondi, nella scienza come in politica, Francesco ci metteva abbondantemente del suo, per le cose in cui credeva, fino ad incorrere in serie difficoltà economiche; e questo al culmine della sua produzione scientifica e della sua vita politica.

Tornando dunque all'antifascismo, Vito Francesco Polcaro dimostrò interesse anche per gli sviluppi, di carattere storiografico, che stava sortendo il mio interessamento alle questioni jugoslave. Mi chiedeva indicazioni sulle problematiche del "confine orientale", su cui avrebbe volentieri intrapreso iniziative antirevisioniste. A latere di un congresso SEAC a Lubiana, nel settembre 2012, si recò con me a trovare Drago Ivanović, indimenticabile combattente, ex internato nel lager italiano di Colfiorito (17): davanti a Drago ed a me, spontaneamente e mettendoci persino in imbarazzo Francesco rimosse dal bavero anche quella spilletta dell'ANPI e la donò all'anziano partigiano di origine montenegrina, applicandola sul suo maglione.
Pochi mesi dopo Francesco volle organizzare una presentazione del nostro libro sui partigiani jugoslavi in Italia alla Casa della Memoria e della Storia, proprio lì dove fa recapito l'ANPI di Roma. (18) Le attività pubbliche da presidente provinciale furono molte e talvolta di grande clamore, e non provo nemmeno a riassumerle. Ciò che lascia, tra l'altro, Francesco all'ANPI e a chiunque voglia farne tesoro, sono gli articoli di taglio multidisciplinare e scientifico-divulgativo scritti per Patria Indipendente negli ultimi due anni (19): una summa di temi, suggestioni e valutazioni che meritano la lettura integrale.

Anche attraverso quegli articoli ci viene restituita una immagine ampia della sua personalità, delle sue conoscenze e dei suoi innumerevoli interessi, sempre con riferimento alle grandi questioni, sociali, scientifico-tecnologiche ed economiche, della contemporaneità.
Tra i temi su cui negli ultimi anni volle cimentarsi c'è persino una riflessione sulla natura del Tempo: (20) inizialmente provò a coinvolgermi. Io però, un po' vigliaccamente, quella volta declinai.

 

Sed fugit interea fugit inreparabile tempus

Me ne spedì il testo, che attende da allora – e fanno anni oramai – sulla mia scrivania con altre carte. Penso di averne un po' paura. Che cosa sia il Tempo rimane per tutti un enigma. Scienziati, filosofi, economisti e storici possono dedicarci tutta la passione e la carta che vogliono, ma è questa forse l'unica cosa dinanzi alla quale il cervello umano probabilmente deve arrendersi.
La dipartita di Francesco rappresenta un duro colpo per me. Più scrivo e più mi vengono in mente cose, aneddoti, flash, battute. Le occasioni di incontro e collaborazione con lui sono state così tante e così diverse che non posso seriamente pensare di riportarle tutte, scandiscono quasi le tappe della mia vita adulta. In un altro tempo, in un altro spazio, Francesco ed io avremmo potuto fare ed avremmo sicuramente fatto molte più cose insieme. Ma non è dato scegliersi l'epoca in cui si deve vivere, né la durata della propria vita.

Il 30 dicembre 2017, in occasione di uno scambio di fine anno via email tra di noi, mi scriveva: "ho particolarmente bisogno dei tuoi auguri perché sono ricoverato al San Camillo per un serio problema ai polmoni", consentendomi di capire al volo e senza drammatizzazioni la sua situazione. Il 18 gennaio gli chiedevo notizie e mi diceva di essere ancora in ospedale, ma in procinto di essere trasferito a casa. Pagliarulo riferisce (16) che il 23 gennaio Francesco gli inviava

questa mail: 'Caro Gianfranco, da oggi sono a casa, aspettando di incominciare la cura genomica in day hospital lunedì prossimo. Dall’ospedale, ti avevo mandato già un altro articolo, che però non deve essere arrivato, perché la connessione di rete era pessima. Avvertimi quando te ne servirà un altro: pensavo di farlo sulla cura genomica del cancro, dato che mi sto documentando a riguardo...' L’articolo sulla cura genomica non mi è mai giunto, perché Vito Francesco se n’è andato improvvisamente nei giorni scorsi. E ci troviamo oggi a pubblicare in altra parte di questo periodico l’ultimo suo scritto, che ha inviato dal lettino dell’ospedale. Lì continuava a lavorare con la consueta tenacia e precisione, nonostante le sue condizioni di salute stessero precipitando. (...)
Vito Francesco era di una umiltà, di un rigore e di una disciplina d’altri tempi. E così, in breve, per chi lo conosceva, il compagno Vito Francesco diventava ben presto il compagno carissimo, aggettivo superlativo che immediatamente ti viene da sentire e da dire quando avverti il totale disinteresse, l’adesione etica prima ancora che ideale e politica ad una causa. (...) Se n’è andato in punta di piedi, col suo consueto stile, garbato ed elegante.

 

NOTE

(1) Francesco credo fu il fondatore della mailing list pol-ric della quale si può ritrovare l'intero archivio, dal 1998 al 2003, alla URL: https://listserv.iit.cnr.it/cgi-bin/wa?A0=pol-ric .

(2) http://www.perlulivo.it/docs/Tavola_Rotonda_Universita_ed_Enti_Pubblici.pdf .

(3) Astrophysics Data System: http://adsabs.harvard.edu/ .

(4) Martocchia, A., Polcaro, V.F. (2010): GRB 080319b and SN1054, in: Proc. of the LIII Congresso della Società Astronomica Italiana, L'Universo quattro secoli dopo Galileo, Pisa, 4-8/5/2009., Mem.S.A.It. (Suppl.), 14, 242-245. In questo lavoro sono tra l'altro corretti alcuni errori contenuti nel precedente: Polcaro, V.F., Martocchia, A. (2006), Supernovae astrophysics from Middle Age documents, in: Proc. of the IAU Symposium no.230, Populations of High Energy Sources in Galaxies, Dublin (Ireland), August 15-19, 2005. Evert J.A. Meurs & G. Fabbiano, eds. Cambridge: Cambridge University Press, 2006, pp.264-268.
Per una elencazione degli altri lavori scientifici realizzati insieme si veda: http://digilander.libero.it/andreamartocchia/PUB/main.html .

(5) In: Ricordando Francesco, e la sua pipa antifascista (vedi in fondo).

(6) Si vedano ad esempio: Cervelli in fuga? Il dramma è che l'Italia non saprebbe come usarli, intervista a Carolina Brandi (di Salvo Intravaia, su La Repubblica  del 25/2/2016); M. Carolina Brandi, Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari? (Roma: Odradek, 2006).

(7) L’angoscia del precario del XXI secolo, su Patria Indipendente del 6 luglio 2017.

(8) Polcaro V.F., Martocchia A., Attacco al sapere. Dal neoliberismo degli anni 70 alla catastrofe Gelmini, i nodi sociali dietro l'attacco sferrato contro la cultura e contro la scienza, su: L'Ernesto n.1 (gennaio-febbraio) 2010.

(9) Devo soprattutto alla interazione con Francesco anche il mio personale successivo sviluppo di quel filone, con cui ho provato a ricondurre il problema alla crisi sistemica, che spiega la distruzione, in corso, delle forze produttive avanzate – si veda: Intellettuariato.

(10) Dalla magia alla stregoneria. Cambiamenti sociali e culturali e "caccia alle streghe". Roma 20/1/2017, Dipartimento Storia, Culture, Religioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università "La Sapienza". Gli Atti del Convegno, curati da Alessandra Ciattini, sono in preparazione e saranno dedicati a Vito Francesco Polcaro.

(11) Polcaro V.F., Martocchia A., Storia sociale dell'Astronomia. Napoli: La Città del Sole, 2012.

(12) Cfr. Antonello E., Polcaro V.F., Tunzi A.M. e Lo Zupone M., Buche cultuali e stelle, in Atti del X Convegno SIA, tenuto a Trinitapoli il 22-23/10/2010. Napoli: La Città del Sole, 2011 (alcune fotografie dal Convegno).

(13) «Collaborazionista chi va da Assad» (di Lorenzo Cremonesi, CdS 7/2/2017); La guerra in Siria ora si combatte tra gli archeologi (di Francesca Paci, La Stampa 19/01/2017).

(14) http://www.cnj.it/scienzaepace/attivita/convegno1/libro1/index.html .

(15) Polcaro et al. (1995), su Giornale di Astronomia, Vol. 21/2, 15-22.

(16) In: Vito Francesco Polcaro (vedi in fondo).

(17) http://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/drago.htm .

(18) http://www.cnj.it/PARTIGIANI/progetto.htm#roma290313 .

(19) http://www.patriaindipendente.it/author/vito-francesco-polcaro/ .

(20) Polcaro, V.F. (2013), The concept of time, from Palaeolithic to Newtonian physics, contributo al convegno di Torino del 2012.

(21) Immagine scattata con cellulare obsoleto dal sottoscritto, 2007. Anche l'immagine introduttiva di questo articolo è stata scattata nello stesso Osservatorio di Loiano in quei medesimi giorni.

 

Testo di Andrea Martocchia, febbraio 2018

 

ALTRI RICORDI:

Vito Francesco Polcaro (G. Pagliarulo, su Patria Indipendente del 22/2/2018)
In morte di Vito Francesco Polcaro (ANPI Roma)
Il PCI saluta il Compagno Polcaro (Partito Comunista Italiano)
Ricordando Francesco, e la sua pipa antifascista (M. Del Santo per INAF)